Attualità

I viaggi della solidarietà di Gianni e Rocco

Vincenzo Lagalante
Gianni D'Onofrio nel suo ultimo viaggio in Africa
L'obiettivo è quello di dare alle popolazioni più sfortunate di alcuni villaggi del Senegal la possibilità di vivere
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L’obiettivo è quello di dare alle popolazioni più sfortunate di alcuni villaggi del Senegal la possibilità di vivere. Per questo motivo, il fasanese Gianni D’Onofrio sta definendo gli ultimi particolari per partire – per la seconda volta in un anno e la sesta nella sua vita – alla volta di Dakar, Pikine e Keur Massar. Molto probabilmente questo avverrà nel prossimo mese di ottobre. «In questi Paesi – spiega Gianni D’Onofrio – si muore per poco. Qui le persone rovistano nelle discariche a cielo aperto, alla periferia di Dakar, per procurarsi da mangiare. Qui si muore di malaria». Testimonianze forti quelle dell’imprenditore fasanese, che spiegano a chiare lettere il motivo per cui ha deciso di dare un sostanzioso aiuto alle popolazioni senegalesi.

«Decisi di partire la prima volta per il Senegal – riprende Gianni D’Onofrio – nel gennaio 2012, al mio ritorno da un viaggio in Giordania. La mia curiosità per il continente Nero iniziò a farsi sempre più forte e, pertanto, mi recai in Senegal un mese dopo, in compagnia del mio amico Rocco Masella, che fa parte di un’associazione che coopera in Congo per il mantenimento di un orfanotrofio, in collaborazione con altri italiani. Giunto a Dakar – spiega –, mi resi subito conto della situazione in cui mi stavo per imbattere. Mi impietosii quando vidi, sul ciglio della strada, un bambino morto di malaria. E così, con Rocco, decidemmo di fare qualcosa per loro».

Nel raccontare la sua avventura, Gianni D’Onofrio lo fa con una tale intensità da far vivere al cronista un viaggio quasi reale. «Quelle persone conosciute in Senegal – spiega – sono pulite e buone d’animo. Impossibile non innamorarsi di loro. Per questo motivo mi sono chiesto: ma è ancora possibile morire di malaria nel secondo decennio del 2000? È mai possibile che non si possa far nulla considerando che un vaccino costa appena tre euro, ovvero qualche caffè? Per questo motivo – ricorda – io e Rocco ci siamo seduti intorno ad un tavolo e ci siamo chiesti cosa fare, anche perché il mio compagno di avventure aveva già intenzione di investire in Senegal. Attraverso Maria Cristina Costa, dell’ambasciata italiana, abbiamo attinto delle informazioni e abbiamo capito che dovevamo far lavorare quelle persone, autoproducendo dei prodotti che avrebbero sfamato se stessi».

Poi la costruzione di tre pozzi per attingere l’acqua. «Sì, infatti. Investendo 1.500 euro – spiega – abbiamo costruito tutto ciò ed è nata così la vita. Avendo l’acqua abbiamo coltivato mango e banane, subito dopo abbiamo messo su un pollaio, grazie alla collaborazione di imprenditori italiani, svizzeri e americani: i senegalesi hanno messo il terreno, noi abbiamo costruito la struttura, all’interno della quale c’erano 12.500 galline da uovo. Nel giro di poco tempo sono così sorti undici villaggi e le uova in esubero venivano vendute a Dakar e il denaro ricavato serviva per comprare il mangime. Con un’azienda svizzera, inoltre, siamo riusciti ad ottenere un centro ricreativo per bambine orfane, offrendo a quegli imprenditori la possibilità di coltivare un frutto che produce bioenergia. Si andava avanti, insomma, con il baratto. E funzionava bene. Da un’azienda che ha installato pannelli fotovoltaici abbiamo ottenuto quattro trattori».

Una bella esperienza, insomma, che ora sarà ripetuta. «Tornerò fra pochissime settimane – spiega Gianni D’Onofrio – per il solo fatto di poter aiutare quelle persone che sono davvero amabili e che, sono sicuro, darebbero la vita per me e Rocco. Sono affezionato particolarmente a due bambini di otto anni che abbiamo salvato dalla malaria e ora stanno bene. Voglio continuare a portare avanti quel nostro progetto – conclude – a cui ci tengo tantissimo. Voglio costruire un forno per fare le baguette di pane. Quei popoli sono una grande risorsa per tutti noi».

Ad aprile scorso, Gianni D’Onofrio è stato in Mauritania dove, al confine col Senegal, ha ricevuto un terreno di venti ettari adibito all’agricoltura e coltivato dalle popolazioni locali per procurarsi il cibo.

lunedì 9 Giugno 2014

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