Gioco di squadra

Raffaella Ricci
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-Richy, dovevi passarmi la palla! Ero proprio sotto il canestro- disse Adam al suo compagno mentre uscivano dallo spogliatoio. Il professore annuì – Gioco di squadra, ragazzi. Gioco di squadra.- L’ora di educazione fisica era appena terminata. Samyr fece il verso al professore, Matteo ridacchiò. Ramy continuò a inviare messaggi dal cellulare. – Watsappa sempre con quella della seconda A- disse Francesco mentre si infilava la giacca della tuta sopra la maglietta sudata. Lo scuolabus ancora non era arrivato. Le ragazze, che avevano fatto educazione fisica sulla pista di atletica, chiacchieravano fitto, fitto tra loro.

Lo scuolabus arrivò, L’autista, un senegalese che avevano visto tante altre volte, aprì la porta. I cinquantuno ragazzi salirono a bordo, come uno sciame di vespe, e presero posto. Salirono anche i professori e la bidella. – Ragazzi non fate chiasso! – disse la professoressa, che era come chiedere al mare di stare fermo.

C’era un vociare continuo con picchi di volume, risate, spostamenti da un posto all’altro. Ramy guardava fuori dal finestrino.- Dove stiamo andando? – si domandò quando l’uomo alla guida deviò dal solito percorso deviando anche il corso di quella giornata.

L’autista fermò il bus, si alzò in piedi, estrasse un coltello e lo puntò alla gola di un ragazzo. Alzò un lembo della maglietta per mostrare che aveva una pistola con sé.

– Datemi tutti i cellulari – disse, dopo aver cosparso il bus di benzina. Samyr nascose il suo sotto il sedile.

– Dammi il tuo cellulare! –

-Non ce l’ho. –

– Dammelo! – gridò l’autista.

-Oggi non l’ho portato.- disse Samyr e lo guardò negli occhi senza aggiungere altro.

L’uomo tornò al suo posto, prese delle fascette e cominciò a legare i polsi ai ragazzi delle prime file. -Voi! – disse rivolto ai professori, – andate in fondo e fate lo stesso-.

I due insegnati si scambiarono uno sguardo e a quelli delle ultime file lasciarono le mani un po’ più libere, a qualcuno non le legarono affatto.

Ramy stava nelle ultime file. Anche Adam.

L’autista legò le mani ai professori, si rimise alla guida e partì alla volta di Linate. Forse voleva sequestrare un aereo, farsi scudo dei ragazzini, dare fuoco al bus vuoto, ma forse anche con i ragazzini dentro. Inveiva contro il governo che uccide i bambini africani nel Mediterraneo.

-Da qui non uscirete vivi!- disse.

Ramy riuscì a prendere da sotto il sedile il cellulare di Samyr e chiamò più volte i carabinieri – Signore non chiuda, ci aiuti! Ci vuole ammazzare-.

Gli altri ragazzi iniziarono a parlare ad alta voce per coprire quella di Ramy, che telefonò anche a suo padre.

Quindi fu la volta di Adam. – Mamma, mamma, non è uno scherzo, l’autista ci vuole ammazzare-. La madre, marocchina, gli rispose incredula nella sua lingua. Adam continuò a parlarle in italiano. I compagni continuarono a vociare.

A leggere i giornali, non esiste una versione univoca dei fatti, ma è certo che:

– Un ragazzo marocchino, con cittadinanza italiana, ha nascosto il suo cellulare;

– I professori italiani hanno lasciato le mani libere ai ragazzi delle ultime file;

– Un ragazzo egiziano e uno marocchino, entrambi senza cittadinanza italiana, hanno usato quel cellulare per allertare i carabinieri;

– Gli altri ragazzi del bus, cittadini italiani e non, hanno coperto con la loro voce quella dei due al telefonino.

I cinquantuno ragazzi, abbracciati, piangevano mentre il bus andava a fuoco.

Tutti e cinquantuno salvi.

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sabato 30 Marzo 2019

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