Sensibilità zero!

Raffaella Ricci
.
scrivi un commento 2

L’altra mattina Adele è venuta in cucina, si è tolta il grembiule e ha detto:

– Basta, non posso più cucinare.

Io stavo bevendo il mio solito caffè, l’ho guardata perplesso e le ho chiesto:

– Cos’è ora che non va?

– Niente – mi ha risposto, – solo che non posso più cucinare.

– E come faremo?

– Compreremo al pronto cuoci e magari una buona volta preparerai tu qualcosa, così capirai cosa significa.

– Per caso vuoi litigare? Io ti ho sempre dato una mano.

– Dare una mano non è prendersi la responsabilità di mandare una casa avanti e preparare da mangiare per tutta la famiglia.

– Ma se siamo rimasti solo io e te!

A quel punto mi ha guardato con gli occhi che diventavano sempre più liquidi. Ha serrato le mascelle, stretto i pugni ed è uscita dalla stanza. Tremava. L’ho seguita.

– Adele … Adele, dai non fare così.

Si è chiusa in camera da letto e mi ha sbattuto la porta in faccia.

Sono rimasto bloccato davanti alla porta, incerto se aprirla o andare via. Piangeva. Adele non ama farsi vedere quando piange. Forse teme di scalfire la sua immagine di donna sempre pronta a sostenere tutti.

Si muove nelle nostre vite discreta ed efficiente che a volte diamo per scontata la sua presenza, il suo affaccendare laborioso, le stanze sempre pulite e in ordine, la biancheria profumata e stirata, le camicie con tutti i bottoni rinforzati, la pasta al forno e l’arrosto, le focacce e i dolci, le conserve e le marmellate.

Adele è strettamente connessa agli odori e ai profumi della nostra casa, ai sapori dei nostri pranzi, alla musica degli utensili e delle stoviglie che tintinnano ogni giorno in cucina. Adele ci gira intorno per anticipare i nostri desideri e ci ama in silenzio rendendoci la vita confortevole.

A volte le basta guardarci tutti seduti intorno al tavolo per essere felice.Mi sono sentito inadeguato e non ho avuto il coraggio di entrare. Sono tornato in cucina, ho finito il mio caffè, ho lavato la tazzina e il piattino e sono andato a lavorare.

Quando sono rientrato, la casa galleggiava sulle prime ombre della sera. Lei era ancora chiusa in camera da letto come se il tempo si fosse fermato al momento in cui mi aveva sbattuto la porta in faccia.

Ho aperto la porta e sono entrato. Dormiva abbandonata di traverso sul nostro grande letto matrimoniale, accucciata nel lenzuolo, le ciglia ancora umide, segno che aveva pianto fino a poco prima.

Sono andato in cucina e ho aperto la dispensa, ho preso una bottiglia di salsa, ho preparato un sughetto e ho messo l’acqua a bollire. Ho apparecchiato e sono andato a svegliarla.

– Adele … Adele, vieni ho cucinato due spaghetti.

Si è stropicciata gli occhi e mi ha guardato come se non mi riconoscesse.

– Ho mal di testa – ha detto.

L’ho aiutata ad alzarsi, l’ho accompagnata in cucina, abbiamo cenato e le ho dato una pillola. Non l’ho mai abbandonata con lo sguardo.Lei invece non aveva la forza di sollevare gli occhi, continuava a tenerli bassi, sul piatto, sulla tovaglia, sulla pillola, sul bicchiere, sulle sue mani posate sul grembo.

Mancano anche a me – le ho detto, sedendomi al suo fianco e prendendole la mano.

È stato in quel momento che è squillato il telefono.

– Andrea, figliuolo, come stai?

Dall’altro capo, la voce del nostro primogenito che lavora a Milano. Quando è partito per l’università, ci è sembrato un allontanamento doloroso ma necessario.

Anche allora Adele aveva vagato per la casa come a cercarlo nella sua stanza o sul divano del soggiorno o sul balcone a fumare una sigaretta di nascosto, ma né lei, né io pensavamo a un distacco definitivo, quanto, più che altro, a una pausa temporale, passata la quale nostro figlio sarebbe tornato. E invece è rimasto.

– Noi stiamo bene, non ti preoccupare. La mamma è scesa un attimo dalla signora Enza. Te la saluto io.

Non gliel’ho voluta passare perché mi ero già accorto che le si stavano riempendo di nuovo gli occhi di lacrime. Non so se tutte le femmine sono così, ma Adele quando comincia a piangere non finisce mai.

– Perché non me lo hai passato?

– Perché oggi non è una buona giornata. Nostro figlio si sta costruendo un futuro. Non ha bisogno di altre preoccupazioni.

Mi ha guardato con gli occhi centrifugati come i panni nella lavatrice.

– Sto bene – ha detto, – adesso sto bene, quando sento i ragazzi sto bene.

– Allora chiamalo ma vedi di non turbarlo.

Lo ha chiamato. – Andrea, come stai? – ha detto sorridendo. Poi ha incominciato a chiacchierare, come se quella fosse stata una giornata qualunque, uguale a tutte le altre. Rideva e raccontava
della signora Enza che sta diventando sempre più sorda e Andrea del collega
imbranato, del cibo del ristorante cinese e di quanto gli mancano le cose buone che cucina
sua madre

Quando, dopo tre quarti d’ora, si sono detti ciao era rinata.

– Chissà se anche Flavio ha bisogno di qualche conserva. – ha detto, controllando nella dispensa se aveva abbastanza barattoli.

Ha strappato un foglio di carta dal quaderno a righe che tiene nel primo cassetto della cucina,ha cercato una penna ed è venuta a sedersi nuovamente al tavolo. E mentre cominciava a scrivere mi ha chiesto:

– Ce la fai domani mattina a fare la spesa?

– A che serve fare la spesa se hai deciso di non cucinare più? – le ho risposto, così per scherzare.

Ha sollevato lo sguardo e mi ha fissato per alcuni secondi. Alla fine ha detto:

– Tu sensibilità zero! –

Mi sono alzato e ho detto: -Vado a dormire. Ho avuto una giornata pesante.

-Vai, vai – mi ha risposto, completamente assorta nella sua lista della spesa.

Sono andato nel bagno e ho visto Andrea di sei anni vicino al lavandino lavarsi i denti,

– Così, papà? – mi domandava con la bocca piena di dentifricio. Anche Flavio arrampicato sullo sgabello si impiastricciava la faccia di dentifricio.

– Ragazzi, ormai siete grandi. Non state più qua

– Allora non giochiamo un po’ insieme prima di andare a letto?

– No, stasera no, sono stanco. La mamma ha avuto una delle sue solite crisi, sapete che sente molto la vostra mancanza.

Ho spento la luce, chiuso la porta e sono andato in camera da letto. Lungo il corridoio li ho visti sfrecciare con le macchinine.

– Piano. Fate piano che a quest’ora la signora Enza dorme.

In camera mi sono infilato il pigiama. Con la testa ancora nella maglia mi sono sentito tirare i pantaloni, era Flavio.

– Non ho sonno.

L’ho preso in braccio, l’ho portato nel suo lettino e gli ho tenuto la mano fino a quando non si è addormentato.

E anche a letto le immagini dei miei figli tornano. Tornano tutti i momenti che abbiamo condiviso, tutte le tappe della loro crescita, tutte le parole che ci siamo detti e i
consigli che gli ho dato a volte richiesti a volte no.

Tornano anche i momenti di tensione, quelli in cui occorreva prendere delle decisioni, quelli in cui non ci siamo capiti e anche quelli in cui non c’è stato bisogno di parole per capirci.

È questo che mi accade da quando mi sveglio a quando mi addormento, ogni giorno da quando sono andati via, ogni santo giorno che mia moglie dice:

– Tu sensibilità zero!

sabato 18 Maggio 2019

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti