L’ho vista.
Si era appena svegliata e mostrava meno dei suoi anni. Io stavo mettendo a posto le sue cose, separavo quelle da conservare da quelle da buttare, perché ci sono troppe cose che ci portiamo appresso e arriva un momento in cui lasciarle andare.
L’ho guardata e stava bene, dopo un periodo così lungo di malattia stava bene e mi sorrideva. Le ho sorriso anch’io. Con uno scatto si è messa a sedere sul letto. «Sai», mi ha detto, con un’espressione un po' sorpresa, un po' soddisfatta, «ho mangiato un sacco di frutta e non mi ha fatto male».
La frutta le è sempre piaciuta.
«Vuol dire che sei guarita» le ho risposto, continuando a guardarla come se non volessi perdermi niente di quel momento e invece qualcosa me la sono persa, come un salto indietro nel tempo in cui è tornata bambina e mi fissava maliziosa con i suoi grandi occhi neri.
Ci sono dimensioni in cui tutto è possibile. Noi eravamo in una di queste.
A volte penso che abbiamo molte vite da vivere in una vita.
Aveva la pelle rosea, le guance paffute, e tanti riccioli scuri che le incorniciavano il viso. Devo averla vista così in qualche vecchia fotografia.
Non madre e neanche figlia, solo due anime che si incontrano in uno spazio ideale, in un luogo che non è sempre facile raggiungere, ma esiste da qualche parte, come l’isola che non c’è.
Noi eravamo sulla nostra isola. Pochi istanti a disposizione per raccogliere tutte le nostre memorie, i giorni vissuti insieme e quelli solo raccontati, le speranze, i desideri, le delusioni, le gioie e i dolori, i segreti, le confidenze, le parole urlate e quelle sussurrate, gli abbracci e le carezze. Tutto come racchiuso in uno scrigno.
E forse anche qui mi sono persa qualcosa, come un salto in avanti, un salto che ha superato l'attimo, tornando su passi già percorsi e spingendosi ancora oltre.
Lei si allontanava nel suo cappotto grigio, il passo non ancora traballante, il corpo non ancora piegato, e si portava appresso due sacchi, uno da buttare e l’altro da conservare.
Si è voltata a guardarmi un’ultima volta, ha alzato la mano in segno di saluto, le ho letto il labiale: “Sto bene” ha detto…
E mi sono svegliata. In un mattino vuoto.
Raffaella Ricci